Formazione, orientarsi nell’abbondanza

PensareB
6 min readOct 22, 2020

Come facciamo le cose influenza il risultato delle cose stesse, questo è probabilmente particolarmente vero quando offri apprendimento.

Qualche giorno fa, è nata una conversazione tra Myriam Ines Giangiacomo, founder e CEO di Bottega Filosofica e Daniela Cadeddu, project manager di SIAacademy, a proposito di una specie di paradosso tra l’abbondanza della formazione offerta online e l’evidenza che non sempre questa corrisponde a una pari abbondanza di conoscenza, ricchezza o esperienza trasferita a chi vi partecipa.

Una conversazione che, come spesso accade qui a Bottega Filosofica, ci ha lasciato alcune riflessioni sul come facciamo le cose noi, che è legato strettamente al perché le facciamo in quel modo, e soprattutto sul come — da fruitrici — possiamo orientarci nella scelta. Sono, secondo noi, valide in senso abbastanza generale e così abbiamo pensato di condividerle con voi.

La pura conversazione, senza maneggiare troppo la forma, in una sorta di candid camera: immaginiamoci un pomeriggio, sedut* nella sede di Roma.

Fruire e produrre formazione

Nell’ambito della formazione online, in questo periodo si riaffacciano esperienze molto simili a quelle vissute nei giorni del lockdown della primavera scorsa. In quel periodo, infatti, abbiamo potuto tutt* osservare due fenomeni in particolare, che ci hanno anche coinvolto direttamente e ci hanno fatto riflettere.

Su di essi, come Bottega Filosofica, abbiamo preso una posizione ben precisa e cerchiamo sempre di mantenerla con coerenza, anche se con la giusta flessibilità, interrogandoci spesso su cosa stiamo facendo, su come lo stiamo facendo e perché.

Il primo fenomeno è (stato) il moltiplicarsi di opportunità di apprendimento gratuite offerte in rete — quasi come una reazione istintiva alla ‘chiusura’ di tutte le altre occasioni di crescita, in quei giorni una quantità elevatissima di soggetti, pubblici e privati, ha letteralmente aperto le porte di accesso alle proprie competenze. Lo abbiamo fatto anche noi, con le iniziative di “Tempo della cura”. Solidarietà e ricerca di contatto erano probabilmente i motori principali.

Il secondo è la necessità, per chiunque si occupi di apprendimento e sviluppo personale, di portare la propria offerta sul web. Da un lato inserendosi in un trend sempre più diffuso già pre-pandemia, dall’altro superando le limitazioni fisiche e geografiche di un periodo specifico, che si ripresentano puntuali nell’attualità di questo autunno (e inverno?).

Entrambi i fenomeni ci coinvolgono direttamente in vari modi, prima di tutto perché, come professioniste, siamo sempre contemporaneamente fruitrici e produttrici di servizi di formazione offerti via web, strumento che ci ha spesso permesso di accedere a risorse che altrimenti geograficamente sarebbero state irraggiungibili, o inconciliabili con i tempi complessivi di vita e lavoro.

Come produttrici, in particolare, perché è un aspetto fondamentale sul quale stiamo già da tempo lavorando e riflettendo intensamente, nell’impostazione delle nostre academy.

Capita quindi che una di noi segua qualcosa e ci si trovi, poi, a rifletterci sopra e commentare — come farebbe un cuoco che mangia nel ristorante di un altro. Come fruitrici, quindi, nel dire cosa ci è piaciuto, in cosa ci siamo trovate, con un occhio comunque rivolto anche a quel che proponiamo noi, magari solo per fissare l’attenzione su cosa non fare, perché non ci è piaciuta o non ci ha convinto.

Veniamo quindi alla nostra conversazione di qualche giorno fa, dopo che Daniela aveva seguito un workshop online. Ci ha lasciato un paio di riflessioni, anche da partecipanti, che, a nostro parere, possono valere in generale per meglio orientarsi tra l’abbondanza di proposte che c’è, c’è stata e presumibilmente aumenterà sempre più. Specie in periodi come quello che stiamo vivendo. Per questo, abbiamo deciso di condividerla con voi.

Il racconto

Daniela Cadeddu: Ieri ho partecipato al workshop che avevamo detto e mi ritrovo oggi a fare una riflessione simile a quelle che abbiamo condiviso in tante occasioni. Per noi che operiamo nel campo della consulenza, del coaching e della formazione/facilitazione penso sia fondamentale ricevere formazione, per due ragioni:

  1. imparare cose nuove e mantenere viva la curiosità verso ciò che non sappiamo
  2. ricordarci cosa vuol dire essere dalla parte di chi riceve e non perdere di vista la missione di utilità che guida il nostro agire.

Credo che questo sia l’elemento davvero cruciale: il servizio.

Non nel senso del controvalore del pagamento del(la) cliente, ma proprio nel senso della stewardship che ci deve caratterizzare quando progettiamo un intervento.

Penso che la domanda guida debba sempre essere: cosa si porta via? Cosa rimarrà quando io avrò terminato e lei/lui dovrà continuare nella sua quotidianità senza di me?

E ciò indipendentemente dal fatto che sia un intervento pagato o pro bono o promozionale. Penso che sia proprio una questione etica.

Myriam Ines Giangiacomo: sono d’accordo con te, è la nostra sfida, come professioniste nel campo dell’apprendimento e del cambiamento ma anche proprio come Bottega Filosofica. Perché abbiamo scelto, come concreta filosofia di vita, di metterci sempre, autenticamente, nei panni dei nostri/e interlocutori e interlocutrici, anche attraverso l’esperienza diretta.

Se una certa cosa non l’abbiamo sperimentata davvero, se non l’abbiamo fatta o la facciamo noi, come possiamo essere credibili e convincenti verso coloro a cui la proponiamo?

Ed è anche un modo per praticare, in un certo senso, la co-progettazione che tanto ci piace, un momento prima di coinvolgere direttamente le persone a cui sono indirizzate le nostre proposte o, se necessario, quando non è possibile farlo.

Daniela: Infatti, perché indipendentemente da tutto il resto, la persona che partecipa al mio intervento mi sta dando il suo tempo e la sua attenzione, due beni finiti e preziosi anche quando non monetizzati. E io ho il dovere di valorizzarli e ripagarli.

Per questo penso che anche quando si organizza un workshop breve — magari gratuito — non si debba fare l’errore di presentare solo, molto sinteticamente e superficialmente, il tutto.

Quando da partecipante mi capita di assistere a questi workshop ho la sensazione di aver perso tempo. Penso sia più utile dichiarare che — a causa del poco tempo a disposizione — non è possibile vedere tutti i passaggi e perciò ci si concentrerà solo su uno o due. Quali? Quelli che possono funzionare anche autonomamente.

Preferibilmente nella logica inside-out, una cosa che sia utile per sé e una che sia utile con gli altri.

In questo modo, ogni partecipante ha la possibilità di portare con sé uno o due strumenti che gli/le facciano percepire di aver investito il proprio tempo utilmente.

Sono convinta sia pagante anche sotto il profilo promozionale. Personalmente, se non conosco il/la professionista responsabile dell’intervento, prima di acquistare voglio provare.

Avendo l’opportunità di sperimentare una parte anche molto piccola di ciò che mi viene proposto, posso capire se mi risuona, se risponde ai miei bisogni, se abbiamo la stessa visione. Le presentazioni totali ma superficiali mi fanno lo stesso effetto dell’indice di un libro: vedo i temi ma non so come verranno trattati e rimango nel dubbio che sia o meno ciò che fa per me.

Myriam Ines: anche qui sono totalmente d’accordo e, se ci pensi, è proprio una delle considerazioni che valevano per Tempo della cura nel lockdown e anche dei Sei passi per sbocciare di questa estate (percorso gratuito di crescita personale ndr.)

A guardarmi intorno, a volte mi sembra un paradosso: vedi da un lato l’offerta sempre più ampia che un potenziale cliente trova sul web e nel mercato in genere, e dall’altro, indagando, quello a cui ti stai riferendo mi sembra abbastanza scarso. In tutti i campi, tra l’altro.

Perciò insisto tanto che questo debba essere un vero tratto distintivo qui a Bottega Filosofica, perché lo credo davvero. E il fatto che ce lo riconoscono mi fa pensare di essere sulla strada giusta: puntare a realizzare l’autonomia delle persone con cui lavoriamo tanto nella consulenza, tanto nel coaching e nella formazione. Per questo mi piace sentirci e proporci come ‘facilitatrici’ di processi nei quali il nostro intervento è sempre di testimonianza e di mentoring — “abbiamo sperimentato personalmente la proposta che ti stiamo facendo ed è andata così” — e di sollecitazione maieutica. Deve essere un mantra.

Sappiamo bene che molto spesso le persone hanno risorse e competenze che non vedono, o non sanno di avere, e soprattutto hanno già dentro di sé le soluzioni ai problemi per i quali si rivolgono a noi. Il nostro compito sta nel saper fare le giuste domande per generare consapevolezza, nel mobilitare queste energie, nel dare metodo e strumenti per utilizzarle al meglio, nel favorire l’empowerment e l’assunzione di responsabilità per se stessi e per ciò che fanno o vogliono fare.

Abbiamo fatto bene quando le persone con cui abbiamo lavorato, che siano persone o organizzazioni, dopo il nostro intervento, sono in grado di camminare con le proprie gambe nell’ambito che abbiamo toccato. Questa è la misura del successo. E se si rivolgeranno di nuovo a noi per approfondire qualcosa o per affrontarne un altro tema, sarà perché quel che hanno ricevuto è stato veramente quel che gli serviva, per crescere e migliorare “per se stessi e per il mondo”. E ciò vale anche per i prodotti offerti gratuitamente.

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