La fiducia come paradigma diverso

PensareB
4 min readAug 4, 2020

Nell’uso italiano, agosto equivale alle vacanze nel senso di chiusura, sospensione, quasi ‘termine di’. Questo può tradursi, per l’impresa, in una serie di piccole o grandi tensioni, ricerca di escamotage dell’ultimo minuto o pressioni di vario tipo, che, spesso nutrite dalla riluttanza alla delega e dalla mancanza di vera fiducia, inevitabilmente finiscono per riflettersi negativamente sui rapporti interni tra le persone. Il risultato è difficilmente una crescita, di qualunque genere. Per superare questo paradigma, serve cambiare mindset, come diciamo spesso.

È agosto. Nell'uso italiano, il mese tradizionalmente dedicato alle vacanze. Quest’anno più che mai ne sentiamo il bisogno: per recuperare fisicamente e psicologicamente, per cambiare ritmi e — ove possibile — anche panorami.

Le ferie — nel diritto del lavoro le vacanze retribuite — sono un diritto per lavoratori e lavoratrici dipendenti, considerato tanto essenziale da non essere giuridicamente rinunciabile.

Dall’altro lato, per certe aziende e cert* manager, esse sono solo una voce di costo, un tempo improduttivo e oneroso, ancor più perché si tratta di un tempo di cui il/la dipendente può decidere (entro certi limiti) quando beneficiare.

Ciò può comportare che il lavoratore o la lavoratrice sia in ferie quando titolare o manager sono al lavoro e, di conseguenza, che sia al lavoro quando loro sono in vacanza.

Nessun problema, verrebbe da pensare, se non fosse che cert* titolari e manager ripongono talmente poca fiducia nelle persone che coordinano da pensare che — in loro assenza — queste non siano in grado di portare avanti le attività in autonomia.

Così succede spesso, soprattutto nelle PMI, che si ricorra all'adozione di una serie di escamotage per ‘ridurre il rischio’ che questo succeda, come chiudere interi reparti o, a volte, perfino l’intera azienda per alcune settimane, così da mandare tutt* in vacanza contemporaneamente.

Costi e benefici

Se ciò era relativamente accettabile fino a qualche decennio fa, oggi i danni (di fatturato, di immagine, di insoddisfazione) sono notevolmente più alti dei presunti benefici.

Anche perché se agosto in Italia è, in alcun settori, un mese di inattività, non si può dire lo stesso per molti altri Paesi del mondo globalizzato del business in cui le aziende — di fatto — non chiudono mai.

Senza guardare troppo lontano (come ad esempio l’Estremo Oriente o gli Stati Uniti) in Svizzera, solo per fare un esempio, o nella maggior parte dei Paesi del Nord Europa agosto è un mese come un altri.

Preconcetti (e sentimenti) da scardinare

  1. ‘Dipendenti’

Alla base di queste forzature nostrane c’è il preconcetto che il/la dipendente, nella migliore delle ipotesi, non sia in grado di portare avanti il lavoro senza un controllo.

Nella peggiore, si arriva perfino a pensare che — senza controllo — le persone ne approfittino per non fare niente, quasi fossero bambin* pront* ad infilare alla prima occasione le dita nel vaso della marmellata.

In entrambi i casi, ciò che manca è la fiducia: fiducia nelle sue capacità e fiducia nella sua onestà e buona volontà.

Il preconcetto si esprime già nel termine ‘dipendente’.

Dipendente significa sia ‘che ha bisogno di altro per esistere, fare, ecc. (e quindi è priv* di autonomia)’ sia ‘subordinato’ cioè soggetto a ordini, in mancanza dei quali non fa. E allora ‘nomen omen’: un nome un destino. Il/la dipendente non può fare senza una guida ferma e costante.

Di più: il tempo della vacanza, allenta le maglie del controllo, fa perdere l’abitudine alla regola, vanifica gli sforzi di disciplina e illude circa la possibilità di un’autogestione.

2. Contributo

Un secondo preconcetto riguarda l’effettivo contributo del(la) dipendente. Agganciando le retribuzioni al tempo, invece che ai risultati, e lavorando (nella maggior parte dei casi) per funzioni, invece che per obiettivi, non è facile determinare l’effettivo contributo di ciascun*.

La conseguenza è spesso un livellamento in entrambe le direzioni: rispettando il principio della fisica per cui la forza di una catena è determinata da quella dell’anello più debole, la dirigenza tenderà ad associare tutto il gruppo alla persona meno efficace ed efficiente; il gruppo, non vedendosi riconosciuta alcuna premialità (fosse pure morale) per il maggiore sforzo, tenderà a omologarsi al proprio elemento meno produttivo.

Il risultato di questo circolo vizioso è una sorta di profezia auto avverante per la quale le ferie generano un effetto di rimozione che crea difficoltà alla ripresa e lo stato di dipendenza non consente la prosecuzione del lavoro in assenza del ‘capo’.

Il diverso paradigma possibile

Non sempre è così e non ovunque.

Esistono contesti nei quali l’organizzazione si fonda sulla fiducia reciproca e su percorsi di crescita che promuovono l’indipendenza e — nei casi più virtuosi — sfociano nell'interdipendenza, a prescindere dai ruoli.

Fiducia, da parte di titolari e manager, nella capacità delle persone di imparare a fare da sole, fiducia nel senso di appartenenza all’organizzazione che spinge a fare anche senza controllo a vista.

Fiducia anche nel fatto che i collaboratori e le collaboratrici più brav* non sfrutteranno eventuali assenze (per esempio per ferie) per sabotare risultati o rubare posizioni o clienti.

Fiducia che si esprime in un impegno attivo nell'accrescimento delle competenze e delle capacità delle persone nell'organizzazione, fino a rendersi sostituibili nelle funzioni, e — come conseguenza diretta e non secondaria — insostituibili nelle relazioni e nel ruolo.

In questo contesto, ciascun* vede riconosciuti il proprio valore e il proprio contributo, sa di poter contare sul gruppo (sia esso il team o l’intera azienda) per salvaguardare i propri risultati anche in sua assenza e la vacanza smette di essere forte di tensione per tornare, come da definizione del Dizionario Treccani, nella sua corretta dimensione di ‘riposo dalle attività ordinarie’.

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