Storie di Smart Working

PensareB
8 min readMay 28, 2020

Ora che ci avviamo verso la ripresa, possiamo dire che il modello organizzativo che avevamo già scelto, in tempi non sospetti, ci ha permesso di ‘scivolare’ dentro questa lock down senza troppe difficoltà. Un modello fatto di piccoli semplici componenti, che ti raccontiamo qui.

La questione dello Smart Working è una questione di modelli organizzativi, di leadership e di fiducia, lo abbiamo detto tante volte e ne abbiamo scritto in altri testi (che puoi trovare anche alla fine di questo articolo).

È una questione di cui parliamo perché ci tocca molto da vicino: è il modello organizzativo che abbiamo scelto, è il modo in cui facciamo le cose a Bottega Filosofica. Lo proviamo su noi stesse e da questo parte l’impegno per lavorare sulla diffusione di modelli organizzativi innovativi, in grado di promuovere e tutelare il benessere delle persone mantenendo l’efficienza dell’impresa, per promuoverli e sostenerli.

Ora che ci avviamo verso la ripresa, possiamo dire guardando ai mesi passati che qui a Bottega Filosofica, siamo ‘scivolate’ dentro il lock down senza troppe difficoltà, e questo soprattutto perché sperimentavamo già un modello organizzativo nuovo, rispetto a quello della maggioranza degli attori intorno a noi.

La situazione radicalmente — e improvvisamente — diversa ha portato per tutti la necessità di trovare modelli diversi. Chi come noi li aveva sperimentati per desiderio, per trovare un modo che andasse incontro ai bisogni delle persone e che permettesse di fruire di contributi e risorse ovunque nel Paese e nel Mondo, che l’aveva messa in atto in una logica che possiamo chiamare inside out, e non per sollecitazione esterna, si è probabilmente trovato in vantaggio.

È quindi un tema di modelli organizzativi.

Ed è tanto più ‘caldo’, oggi, perché tutti noi siamo più di macchine lavoratrici.

Get this stuff done

Getting work done has never really been the point of offices — potremmo tradurrlo in “Portare a termine il lavoro non è mai stato il vero obiettivo degli uffici” — è una frase caposaldo dell’articolo di Catherine Nixey apparso su The Economist in queste settimane, a proposito di Smart Working.

Per riassumere molto una questione ampia, getting work done — portare a termine il lavoro — è invece esattamente l’obiettivo dello Smart Working, che si slega dalle altre componenti che tutti associamo, abitudinariamente, al lavoro quotidiano: principalmente in termini di tempo e spazio (ma anche di routine, riunioni, controllo, turni e straordinari, e così via).

Gli uffici, dice l’autrice, sono una faccenda di reputazione, di marmi e colonne, sono “sermoni di pietra” a testimoniare grandezza e memoria, molto più che una faccenda di fare le cose per bene, in modo efficace e soddisfacente.

E hanno avuto anche la forza di trasformare ritmi che prima erano legati a cicli più vicini alla natura in altri molto diversi, adatti a “fabbriche della vita”, per i quali tutto il resto — oltre il lavoro — non trova posto e viene relegato al tempo che avanza.

Questo, però, non vuol dire che le altre componenti siano veramente meno rilevanti, se non direttamente sul portare a termine il progetto, comunque sul modo in cui la persona si trova e vive nel momento, e questo è un punto fondamentale del ragionamento. Perché è qui che entra in gioco la flessibilità.

Smart e da remoto sono due cose diverse

Lo Smart Working, come ogni cosa, non è un modello da applicare indiscriminatamente in ogni campo, così come non è detto che vada bene per tutte le persone. È anche vero, però, come abbiamo già detto altrove, che la maggioranza delle persone che si sono trovate a lavorare da casa durante questi mesi non hanno vissuto esperienze di Smart Working, ma di lavoro da remoto, “domiciliato e tecnologicamente assistito”, con risultati non sempre eccezionali.

È quindi normale anche l’emozione un po’ conflittuale che tanti stanno provando in questo strano periodo, a metà — citiamo sempre l’autrice — “tra sollievo per la libertà e un po’ di nostalgia mentre trascorriamo una informe giornata in pigiama”, insieme al desiderio abbastanza diffuso di “tornare al più presto come prima”.

Alla base di questa sovrapposizione c’è parecchia confusione, che resta nonostante le ampie argomentazioni, ormai finalmente un po’ ovunque.

Viene quindi da chiedersi, in conclusione, cos’è smart dello Smart Working, nella quotidianità delle persone? Cos’è che cambia quando si dice flessibilità di tempi e spazi?

Abbiamo pensato di raccontare la nostra diretta esperienza, i fattori spiccioli, quotidiani che ci fanno dire che nel lavoro smart ci sono più opportunità che perdite.

Sono come binari o flussi su cui si incanalano le nostre attività. Raccolgono piccoli aspetti o microesperienze che costruiscono, insieme, un modello che scorre, più o meno intensamente a seconda dell’occorrenza.

Nota di onestà: quando si parla di Smart Working, leggi e definizioni si riferiscono a lavoratori dipendenti, e così la maggior parte del dibattito di questo periodo, per ragioni ovvie. Noi, invece, siamo un gruppo di libere professioniste, quindi già in partenza più autonome e anche abituate a ragionare e ad agire in maniera imprenditoriale. Gli elementi che ci fanno scegliere di adottare un modello flessibile di questo tipo, però, sono validi anche per chi lavora da dipendente perché afferiscono principalmente alla possibilità di gestire tempi e spazi. Non è un cambiamento nel lavoro, ma nell’approccio, è una questione di mindset.

Lavorare smart

Per noi, lavorare smart è tutte queste cose che seguono.

Lavorare in modo asincrono, grazie ai device a disposizione e alla nostra organizzazione, in modo che risponda alle nostre esigenze e anche a quelle delle attività che dobbiamo seguire. È la possibilità di unire le proprie routine e i propri tempi con le routine e i tempi dei progetti. È coordinarci, ad esempio attraverso riunioni ricorrenti per temi, a cui possiamo però rinunciare, se le priorità sono diverse, e in tutto questo continuare comunque a portare avanti i progetti. Nella sicurezza reciproca che, se ci dovesse essere una questione da risolvere più urgentemente, abbiamo vari modi di rintracciarci.

Possibilità di muoversi, nel senso di spostarsi da un posto ad un altro. Tranne in casi specifici, cambiare ambiente quando ne sentiamo il bisogno, sia mentale — ‘cambiare aria’ per riflettere meglio, per esempio — , sia fisico — cambio luogo a seconda del bisogno che ho di determinate apparecchiature o relazioni. Perché nello Smart Working non esiste dicotomia casa/ufficio: in mezzo ci sono tantissime soluzioni che hanno a che fare con le esigenze e le opportunità dello specifico progetto o addirittura di quello specifico passaggio e vanno dal coworking ad un terrazzo.

Possibilità di muoversi anche nel senso di mettere in movimento il corpo per aiutarci a pensare.

Tempi che diventano più veloci, poca dispersione in spostamenti o in attività non efficienti, come riunioni immotivate ma abitudinarie, e la possibilità di fare altro fino al minuto prima di iniziare qualcosa insieme.

Quello che serve a portata di mano: libri, appunti, risorse di ogni tipo, strumentazioni particolare che altrimenti non avremmo, quando servono, anche semplicemente scegliendo un luogo invece di un altro in funzione delle risorse di cui abbiamo bisogno in quel momento.

In tempo di Lockdown

Ci siamo chieste quali fossero, se c’erano, le differenze nel lavorare in Smart Working durante il lockdown. Per noi ci sono e si possono sintetizzare in una parola: vincoli.

Siamo state costrette in un posto solo, senza la possibilità di muoverci al di fuori della casa, con scelte molto limitate tra le diverse stanze e i balconi, dove possibile. Questo limite è reso più problematico dal fatto che spesso gli spazi sono in sovrapposizione con gli altri componenti della famiglia, con progetti anche molto diversi o didattica a distanza. Essere costrette a trovare un luogo in uno spazio circoscritto è molto diverso da scegliere di lavorare in un ambiente che troviamo comodo e che ci rende più efficienti ed efficaci.

Non potersi spostare in nessun ‘fuori’, inoltre, portava dispersioni e distrazioni in modo quasi automatico: tutto era troppo prossimo a cose che rimandavano ad altre attività.

Così come gli spazi, anche i tempi si sono sovrapposti: gli orari delle lezioni e delle riunioni potevano facilmente coincidere, rischiando di disperdere energie e concentrazione.

Così, anche i tempi a disposizione non erano sempre ‘scelti’, ma piuttosto ‘ricavati’ dalla nuova situazione, e non sempre coerenti con il proprio modo di lavorare, come dover lavorare di sera per chi rende meglio la mattina presto, o viceversa.

Siamo state spesso vincolate dai device, un esempio su tutti: dover ‘seguire’ laptop magari non nuovissimi ormai sempre attaccati alla corrente elettrica. Non essendo stata una scelta e non avendo avuto preavviso, non tutti eravamo preparati (né eravamo tenuti ad esserlo).

Non potevamo spostarci in ambienti diversi o all’aria aperta. Quando l’unico spazio per riflettere in movimento era il corridoio da percorrere, il risultato non è probabilmente come quando puoi passeggiare nella natura.

Abbiamo lavorato di più, ma questo non vuol dire automaticamente efficienza: le chiamate su Zoom e simili assorbono più tempo e più energie di quelle in presenza, tutte abbiamo avuto bisogno di ‘parlare’ di più e i tempi che prima dovevamo dedicare agli spostamenti o a momenti di ‘cambio’ dell’attività, sono inglobati dalle chiamate e dalle attività stesse.

Non abbiamo avuto la possibilità di andare fisicamente in sede, che per noi è un luogo dove stare insieme anche mentre ognuno lavora da parte al suo progetto, e poi di tanto in tanto avere la possibilità di fare due chiacchiere o di prendere un panino per pranzo.

L’altro lato dell’esperienza

I lati positivi, come sempre, ci sono, e sono fatti di scoperte e conferme.

Siamo riuscite in brevissimo tempo, già nei primi giorni, a riorganizzare tutti i processi e sostituire quel che non si poteva più fare con un modo nuovo di farlo. E avviare contemporaneamente un palinsesto a sostegno dei contesti in cui ci troviamo, come professioniste di Bottega Filosofica e come persone. A conferma che il modello che avevamo già scelto era funzionale, anche in un caso di stress come quello che abbiamo attraversato (non dimentichiamo che tutte le imprese e organizzazioni sono composte da persone). Questo perché avevamo già costruito relazioni di autonomia, stima e delega salde e consolidate.

Abbiamo perso la parte di gioia del ritrovarci in sede ogni tanto, ma non l’efficacia e l’efficienza, anche in termini di vicinanza e calore nella relazione, tra di noi e con le persone con cui lavoriamo come Bottega Filosofica. Ci ha aiutato l’allenamento che avevamo già e l’abitudine a portare avanti contatti con professionisti e colleghi in tutto il Mondo, con i quali immaginare, costruire e portare avanti progetti condivisi anche se ognuno è immerso nella sua quotidianità e nel suo spazio, in un modo che sarebbe impossibile se aspettassimo di vederci sempre di persona.

Abbiamo scoperto nuove piattaforme e strumenti in cui metterci in gioco o nuovi modi di ‘giocare’ su piattaforme e strumenti conosciuti.

Gli altri articoli dedicati al tema.

Smart working, questo sconosciuto

Da anni oggetto del desiderio, negato, di milioni di persone nel mondo e anche nel nostro Paese. Ma è un concetto sul quale perdura una grande confusione da parte di tutti, così che chiamiamo ‘smart working’ fattispecie di lavoro molto diverse e, nella maggior parte dei casi, non ne usiamo tutto il potenziale. Per questo ci sembra interessante provare, in primis, a rispondere alla domanda: «Cos’è smart working?» Leggi qui.

S.m.a.r.t. working, una conversazione

Abbiamo sciolto l’acronimo S.M.A.R.T. nell’espressione smart working. Ne è nata una conversazione tra Myriam Ines Giangiacomo, nostra CEO e founder, e Daniela Cadeddu, Project Manager di SIAacademy, che mette in fila alcune cose che abbiamo imparato o capito. Perché se finora il lavoro è (stato) necessariamente completamente da remoto, al termine delle restrizioni si riprenderà il lavoro in presenza. Si potrà, allora, valutare il ‘vero’ smart working come opportunità di lavoro dipendente flessibile sia nei tempi che nei luoghi di lavoro e in grado di coniugare le esigenze di tutti i soggetti coinvolti. Leggi qui.

Riflessioni e numeri sullo Smart Working

In questo periodo una decisa accelerazione, ma non una rivoluzione per quella che è divenuta la principale soluzione per proseguire le attività nelle aziende, nonostante il lock down. Leggi qui.

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